Nonviolenza e conflitto
La nonviolenza non ha paura del conflitto, anzi, in molte situazioni lo "crea", soprattutto in quelle situazioni in cui la tranquillità cerca di nasconderlo, perché spesso i conflitti ci sono ma sono nascosti. La nonviolenza "crea" conflitto nel senso che lo rende evidente, lo fa diventare una questione con cui tutti devono avere a che fare, sia quelli che preferiscono non vederlo, sia quelli che lo nascondono. Il nonviolento è necessariamente un rompiscatole, perché rompe le scatole non solo a chi fa direttamente la violenza, ma anche alla stragrande maggioranza che la accetta e fa finta di non vederla. Quindi scegliere di essere nonviolenti, e non limitarsi semplicemente a non essere violenti, significa andare ad impelagarsi in un bel po' di problemi, anche rischiando di perdere quella tranquillità che uno potrebbe avere rientrando tra quelli che la violenza altrui "non la vedono". Sicuramente la nonviolenza affronta il conflitto e in alcune situazioni lo evidenzia, lo fa esplodere con lo scopo di cercare una soluzione che può essere sia una ri/soluzione sia una dis/soluzione. Il conflitto ha varie possibilità di evolvere e purtroppo, molte volte, proprio per il fatto che viene nascosto, continua. Invece è proprio dall’affrontarlo, dal farlo maturare, che si può riuscire a farlo emergere e possibilmente farlo finire.
Il conflitto, quando viene affrontato, può essere risolto trovando una soluzione valida per tutti ma altre volte può semplicemente dissolversi perché il motivo del confitto non era sostanziale, spesso era solo motivato da una incomprensione o da un fraintendimento, e quindi, facendolo emergere, è possibile semplicemente superarlo riconoscendone l'infondatezza e trasformandolo in una occasione di dialogo.
In ogni caso la nonviolenza ha a che fare con il conflitto, anche se non per questo deve portare necessariamente ad un vita di conflitto. Spesso si pensa che non affrontando i conflitti si vive più tranquilli ignorando le tensioni che i conflitti generano anche a chi nel conflitto ha una posizione predominante. La nonviolenza permette anche una vita in cui dal conflitto si esce positivamente recuperando le situazioni di tensione e facendole diventare situazioni positiva. Affrontare il conflitto in maniera nonviolenta può migliorare anche la propria qualità di vita, assieme a quella altrui. Ma per fare emergere i conflitti spesso è necessario arrivare all’azione. Di nuovo arriviamo al dualismo tra pensiero ed azione, tra teoria e pratica. Non ci si può solamente limitare a discutere, diffondere informazione, diffondere conoscenza, è necessario in molte situazioni passare all’azione. È vero che la sensibilizzazione, la divulgazione e l’informazione fanno crescere la sensibilità e sono molto importanti, anche all’interno delle iniziative nonviolente, proprio per aumentare la capacità dell’ambiente di risolvere il conflitto, ma in molti casi non è sufficiente ciò che le singole persone che si sono sensibilizzate faranno di conseguenza. Il fatto che persone che hanno recepito la sensibilizzazione agiscano di conseguenza è positivo ed auspicabile ed utile ad evitare conflitti futuri, ma, soprattutto nelle situazioni di conflitto evidente, spesso non è sufficiente. È quindi necessario arrivare ad un azione che sia concreta, specifica e mirata al conflitto stesso. Questo è il punto più delicato perché la nostra educazione da centinaia di anni se non da millenni, prevede che l’ azione nel conflitto è necessariamente un'azione di tipo violento tanto che spesso il termine conflitto viene equiparato a quello di violenza.
Il conflitto, quando viene affrontato, può essere risolto trovando una soluzione valida per tutti ma altre volte può semplicemente dissolversi perché il motivo del confitto non era sostanziale, spesso era solo motivato da una incomprensione o da un fraintendimento, e quindi, facendolo emergere, è possibile semplicemente superarlo riconoscendone l'infondatezza e trasformandolo in una occasione di dialogo.
In ogni caso la nonviolenza ha a che fare con il conflitto, anche se non per questo deve portare necessariamente ad un vita di conflitto. Spesso si pensa che non affrontando i conflitti si vive più tranquilli ignorando le tensioni che i conflitti generano anche a chi nel conflitto ha una posizione predominante. La nonviolenza permette anche una vita in cui dal conflitto si esce positivamente recuperando le situazioni di tensione e facendole diventare situazioni positiva. Affrontare il conflitto in maniera nonviolenta può migliorare anche la propria qualità di vita, assieme a quella altrui. Ma per fare emergere i conflitti spesso è necessario arrivare all’azione. Di nuovo arriviamo al dualismo tra pensiero ed azione, tra teoria e pratica. Non ci si può solamente limitare a discutere, diffondere informazione, diffondere conoscenza, è necessario in molte situazioni passare all’azione. È vero che la sensibilizzazione, la divulgazione e l’informazione fanno crescere la sensibilità e sono molto importanti, anche all’interno delle iniziative nonviolente, proprio per aumentare la capacità dell’ambiente di risolvere il conflitto, ma in molti casi non è sufficiente ciò che le singole persone che si sono sensibilizzate faranno di conseguenza. Il fatto che persone che hanno recepito la sensibilizzazione agiscano di conseguenza è positivo ed auspicabile ed utile ad evitare conflitti futuri, ma, soprattutto nelle situazioni di conflitto evidente, spesso non è sufficiente. È quindi necessario arrivare ad un azione che sia concreta, specifica e mirata al conflitto stesso. Questo è il punto più delicato perché la nostra educazione da centinaia di anni se non da millenni, prevede che l’ azione nel conflitto è necessariamente un'azione di tipo violento tanto che spesso il termine conflitto viene equiparato a quello di violenza.
Etichette: conflitto, nonviolenza
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