Riforme istituzionali o giochi d'azzardo?
Con le modifiche istituzionali previste da Renzi tra senatori nominati e liste bloccate alla fine i cittadini non scelgono più i propri rappresentanti. Ho la sensazione che questa riforma sia una cosa da apprendisti stregoni. Un gioco d'azzardo dove i giocatori sanno di poter perdere tutto restando tagliati fuori ma sperano di prendere loro tutta la posta (e non certo per usarla per il bene collettivo). Preferiscono rischiare di perdere tutto il potere pur di tentare di prenderlo tutto evitando il sano ma faticoso lavoro della mediazione degli interessi collettivi. E nel gioco d'azzardo di solito a guadagnarci sono i marpioni, non certo i santi.
La scusa per questa riforma del sistema elettorale e della struttura istituzionale è la governabilità. Ma, detto sinceramente, io sono convinto che il precedente sistema proporzionale ha dato molta più governabilità delle pseudo alternanze dei centro-qualcosa che l'unica cosa che hanno portato è l'impazzimento di certe leggi che ad ogni cambio costringevano i cittadini a rivedere procedure burocratiche in cui solo gli avvocati e i commercialista si districano senza problemi. Se un'altra delle scuse che viene addotta è l'eccessiva lunghezza degli iter legislativi, mi pare che per certe leggine ad personam il tempo sia stato più che ridotto nonostante il bicameralismo perfetto e poi il problema non è di fare tante leggi velocemente, ma di farle bene, e per fare questo ci vuole tanto tempo e tanti occhi.
Un altro motivo che spesso viene addotto per l'eliminazione del sistema proporzionale è quello delle formazioni piccole che nonostante la loro piccolezza diventano determinanti nei processi decisionali, l'egemonia di partiti con il 10%. Se è per quello a seconda della dimensione dei collegi il proporzionale già determinava delle soglie di accesso (per esempio in Liguria potevi eleggere qualcuno solo se raggiungevi l'8-9% e una lista poteva avere degli eletti a livello nazionali solo se nelle regioni con tanti eletti si raggiungeva almeno il 2%).
Spero di sbagliarmi ma purtroppo anche in passato spesso ho visto lungo. Pur avendo sempre sperato che fosse possibile arrivare ad un cambio dei governi in passato e avendo sempre votato a livello nazionale per partiti non di governo, io ho votato contro tutti i referendum elettorali eccetto che quello sulla preferenza unica perché prevedevo la degenerazione che è avvenuta in seguito nella qualità degli eletti e dei partiti.
Devo dire con rammarico che mi sembra più democratica la DC di Andreotti che il PD di Renzi. C'era più attenzione ad una equità dei processi decisionali. E' una lunga riflessione, che comprende anche il fatto che quando c'era la stabilità andreottiana c'era una visione prospettica di decenni mentre con le alternanze di governo la storia diventa una faccenda lunga al più 4/5 anni in cui chi governa cerca di arraffare il più possibile lasciando chi viene dopo a lamentarsi dei furti di quelli prima.
Anche se vedo persone competenti e oneste convinte della bontà delle riforme volute da Renzi non riesco a convincermi. Spero abbiano ragione loro ma temo di avere ancora una volta ragione io. L'egemonia del 10% (ma quanto aveva la Lega con Berlusconi?) stava per essere annullata scardinando la logica della maggioranza risicata per cui i governi venivano fatti per raggiungere il 52%. Era il 1994 quando ero consigliere comunale (né dei DS né della DC ma della Rete di Novelli) e in piena tangentopoli avevamo organizzato un incontro per invitare i post PCI e i DC a cooperare in qualcosa di simile a quello che ha cercato di fare il PD ma allora delle ottime persone oneste e capaci ancora non riuscivano a concepire una simile collaborazione. Poi sono venute le riforme elettorali e tale cammino è stato stravolto. E non è un caso che il proporzionale sia stato fatto saltare quando la sinistra stava avvicinandosi alla possibilità di diventare determinante.
Ora siamo arrivati alle larghe intese. Ho come la sensazione che non dovremo solo rimpiangere De Gasperi, Dossetti o Martinazzoli ma anche Andreotti e Forlani.
Etichette: democrazia, elezioni
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