Unità e divisione
Dopo le elezioni europee e l'affermazione di misura della lista "Altra Europa per Tsipras" continuo a sentire appelli all'unità, che condivido, ma ho la sensazione che quasi tutti i diversi appelli abbiano un problema di riferimento.
Spesso ho sentito concludere l'appello all'unità con un "e chi non è d'accordo se ne vada". Il che vuol dire che evidentemente chi propone l'appello prevede di essere saldamente piazzato al centro del gruppo che è unito, e non certo in una posizione marginale a rischio di essere tra quelli a cui verrà chiesto di abbandonare l'unione.
I gruppi sociali e ancor più i gruppi politici si determinano a seconda del tipo di relazione che viene instaurata al loro interno. Un gruppo politico organizzato in piccoli gruppi territoriali che si aggregano per contiguità territoriale in coordinamenti provinciali a cui partecipano i rappresentanti territoriali a loro volta raggruppati in coordinamenti regionali con rappresentanti delle provincie, come era tipico dei partiti deve avere una catena di consenso rigorosamente gerarchica con tutti i suoi pregi e difetti. Un gruppo politico organizzato su base assembleare dove chi è presente decide per tutti ha alla stessa maniera i pregi e i difetti dell'assemblearismo. Ci sono molti altri modelli più o meno sperimentati che adottano soluzioni intermedie di connessione in rete di realtà minori cercando di contrastare i difetti e esaltare i pregi delle due soluzioni estreme. Quale modello si adotta ha, alla fine, una conseguenza non solo sul piano organizzativo ma anche prettamente politico, cioè dei processi decisionali.
Ma oltre alle differenze di struttura c'è un'altra grossa differenza che si basa sui metodi consensuali adottati all'interno del gruppo politico. Mi limito a dire che una grossa tentazione, molto legata alla richiesta di identità, è sempre quella di voler stabilire chi è dentro e chi è fuori. Spesso sente il bisogno di definirsi chi non si sente definito nel suo essere, chi ha bisogno di qualcun'altro da cui distinguersi per definirsi. Anche per questo non mi piace l'uso che spesso si fa della parola "Altro" per nominare chi cerca di contrastare la deriva liberista. Penso che aver bisogno di un altro per sapere chi si è dimostra solo di avere poca identità soggettiva. Direbbe malamente il Marchese del Grillo "io so' io e voi non siete un cazzo", ma il concetto può essere civilizzato nella frase "Io sono chi sono per quello che faccio e vivo, e gli altri sono liberi di essere diversi da me come credono". Individui autonomi che sanno chi sono possono collaborare con altri diversi ma che condividono percorsi simili in un cammino unitario. Siamo tutti coscienti di essere diversi dagli altri e se pretendiamo di collaborare solo con coloro che sono identici a noi vuol dire che presupponiamo che gli altri rinuncino a se stessi per unirsi a noi sulle nostre posizioni. Forse qualcuno può farlo alla ricerca di un capo a cui sottomettersi ma, soprattutto a sinistra, mi pare che sia una vocazione scarsamente diffusa, almeno da un punto di vista ideale.
Per questo è importante imparare a convivere con il dissenso o meglio con la diversità. Primo passaggio è riconoscere il diritto all'altro di essere diverso senza pensare con questo che sia sbagliato e non ci possa più essere un rapporto con lui. Secondo passaggio è imparare ad avere posizioni variegate per cui se 80 la pensano in un modo e 20 in un altro non vuol dire che la pensiamo tutti nel primo modo e gli altri si devono adeguare, ma che l'80% la pensa in un modo e il 20% che la pensa nell'altro sarà libero di adeguarsi o meno a seconda di come ritiene meglio per lui e per il gruppo stesso, senza che questo sia un tradimento o costringa ad interrompere le relazioni. Anche perché non è così raro che si scopra dopo che il 20% aveva ragione e, se è ancora con noi, potrà aiutarci a recuperare dalla cantonata presa.
Mi rendo che idee simili sono un po' anomale, ma spero che possano essere tenute in considerazione almeno a livello locale.
Penso sarebbe utile trovare il tempo e il modo per confrontarsi seriamente anche su questi temi e di farlo non solo con quelli che si pongono dei dubbi sui modelli organizzativi e decisionali adottati finora in politica, ma soprattutto con quelli che invece hanno solide certezze derivanti dalla loro esperienza di anni e anni di lavoro politico. Metti caso che riescano a far superare i dubbi ai dubbiosi ...
Etichette: conflitto, democrazia, elezioni, movimento, politica
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