Le foto di piazza Tahrir in festa coi fuochi d'artificio di certo non improvvisati o spontanei mi rattristano, non tanto per la "vittoria" delle manifestazioni contro il governo eletto un anno fa, ma al contrario proprio per la loro sconfitta. Anche questa volta coloro che agivano nonviolentemente non sono stati in grado di evitare che altri (l'esercito) tutt'altro che nonviolento si impossessasse delle loro conquiste. Un antico dilemma.
Qualcuno si è posto la domanda: "la strategia della risposta nonviolenta alla repressione di Stato è premiante?" a cui si può contrapporre un'altra domanda: "la strategia della risposta violenta alla repressione di Stato è premiante?" Il problema sta nell'applicazione delle strategie e, in generale, le due strategie (violenta e nonviolenta) hanno analoghe probabilità di successo, ma la prima degrada di solito molto più velocemente in altre repressioni di Stato.
Anche ai tempi del G8 di Genova provai a far capire agli organizzatori delle manifestazioni che erano avversari del GSF sia le forze di polizia sia i black block ma, mentre per i primi quasi tutti si fidavano della loro democraticità, per i secondi c'erano alcuni che parlavano di "compagni che sbagliano" come ai tempi delle BR. In ogni caso pur di non affrontare il problema della difesa della propria azione dalla violenza altrui si mise la testa sotto la sabbia con i risultati noti. Anche in quel caso fummo scippati delle conquiste raggiunte nei mesi di preparazione.
E non basta auspicare che il potere cambi e sia "altro", ma serve sia "migliore". Proposi inutilmente di non usare lo slogan "Un altro mondo è possibile" ma qualcosa del tipo "Un mondo migliore è possibile", però faceva tanto bello fare gli "alternativi" senza rischiare di sembrare moralisti. In effetti è avvenuto ciò che era previsto dallo slogan, peccato che l'"altro mondo" qualcuno lo ha raggiunto tragicamente e per gli altri il mondo è solo cambiato, ma in peggio.
Qualcuno da quegli avvenimenti da concluso che la dicotomia tra dare botte (magari anche solo metaforiche come le "tute bianche") e prenderle (come le "mani bianche" alzate in segno di resa) dimostra che il potere non si sconfigge. Io non ho condiviso nessuno dei due approcci che ritenevo (come è stato) perdenti entrambi, ma ritenevo (e ritengo) valido l'approccio dei Gruppi di Affinità che hanno bloccato senza violenza i varchi di Piazza Portello. La dicotomia non esiste, come non esiste la fittizia dicotomia tra "destra" e "sinistra", sono alcuni che se ne avvantaggiano a volerla accreditare. Le scelte possono essere molte di più tra il menare le mani e il prenderle. A volte bisognerebbe studiare un po' di più le realtà che hanno raggiunto i loro scopi senza usare violenza nei conflitti, anche armati, sociali (e internazionali), ma anche questa è una pecca di chi agisce nonviolentemente, non preoccuparsi oltre che del mantenimento delle loro conquiste anche della diffusione dei loro saperi.
E non sto parlando di "diplomazia". Anche quella conta ma non basta. Mi fanno tenerezza quelli che "chiedono" al potere le cose, in forma di petizione, richieste, raccolte di firme etc etc. Queste cose possono essere utili in alcuni casi ma non sono certo le cose che permettono di "prendere il potere", cioè fare in modo di decidere il proprio futuro. I "compagni che sbagliano" degli anni '70 sicuramente avevano una analisi e una cultura politica solida, forse più dei black block e sicuramente più degli ultras che a questi si unirono, ma le loro scelte non hanno avuto risultato migliore. Anzi, da un certo punto di vista i black block sono stati più efficaci nel raggiungere i loro scopi (del tutto limitati) delle BR, soprattutto i black block di ideologie neonaziste e simili.
Ma ci sono esempi che parlano di Filippine durante il regime di Marcos, di Stati Uniti ai tempi della segregazione razziale, di Sudafrica durante l'apartheid, di Danimarca durante l'occupazione nazista e così via fino all'India sotto occupazione inglese. Sono situazioni in cui una resistenza che rifiutava la violenza ha ottenuto notevoli risultati contro forze violente e armate molto più che parallele azioni violente. E parlo di azioni, non di semplici dialoghi e colloqui. La parola sicuramente serve ma quando non basta a costringere il potere a tenere conto dell'avversario bisogna passare all'azione.
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