Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

17/06/10

Il rischio di una società "senza" conflitti.

Il termine conflitto, spesso assimilato a quello di guerra, ha generalmente un significato negativo e si cerca di sfuggire al conflitto in molti modi, anche nascondendolo. Del conflitto si considerano la fatica, la sofferenza, l'ansia, la paura, la tensione che genera, auspicando di non incontrarlo mai sulla propria strada. Eppure è evidente che il conflitto, proprio perché deriva dall'incontro di interessi diversi che non riescono naturalmente a coesistere, è un elemento intrinseco alla complessità della realtà, non solo sociale.
Ma da un conflitto può scatirire un cambiamento in positivo, una nuova realtà, migliore della precedente.Ci si può quindi rendere conto che il conflitto in molte occasioni ha risvolti positivi che arrivano a bilanciare se non a superare gli aspetti negativi del conflitto stesso. Il desiderio di superare il conflitto per giungere ad una situazione migliore è la molla che spinge normalmente i contendenti ad ingaggiare il conflitto o meglio ad affrontarlo anche a rischio di subire delle perdite, di peggiorare la propria situazione.
Da questo punto di vista, quindi, un conflitto, se riesce a cambiare in meglio la situazione dei contendenti,  diventa una buona occasione di miglioramento, assume quindi delle valenze anche positive: se si affronta il conflitto non si hanno solo conseguenze negative. In altri termini il conflitto può essere una cosa positiva da non dover rifuggere ma, al contrario, che conviene affrontare.
E' ovvio che questo è vero se affrontare il conflitto nel complesso fa guadagnare, altrimenti conviene sfuggirlo sperando che al negativo che ne viene non si aggiunga il negativo derivante dalla lotta necessaria ad affrontarlo. Rifacendosi alla metafora bellica, se parto in guerra è perché le conquiste saranno maggiori delle perdite, altrimenti mi conviene limitare al minimo i danni che il nemico mi sta procurando con la sua azione.
Quella che è importante è la scelta dei mezzi con cui affrontare il conflitto. In genere in una guerra se le parti facessero i conti dopo la fine delle ostilità si renderebbero conto che anche chi ha "vinto" ha subito tanti danni e sofferenza che per definire vittoria la propria condizione dovrà mettere in campo tutta la sua capacità retorica. Di solito si mettono in campo tutti i mezzi possibili per cercare di distruggere l'avversario ma è ben raro riuscirci e soprattutto riuscirci prima che l'avversario non abbia provato a fare altrettanto assestando i propri colpi per cercare di distruggerci. E quel che resta è un campo di rovine ma lo spirito di sopravvivenza molte volte fa essere ottimisti e fa sottovalutare i rischi derivanti dallo scontro pur di assicurare un miglioramento della propria condizione.
Eppure in molte situazioni un conflitto può essere gestito senza che crei danno ma al contrario vantaggio. Immaginate due signore che al supermercato vogliono l'ultima arancia disponibile al banco e cominciano a contendersela.
Due possibili epiloghi sono che una delle due rinunci a soddisfare la propria necessità oppure che comincino a litigarsela. Nel primo caso per lo meno una delle due potrà usare l'arancia per i suoi scopi ma quello che spesso succede nella vita, soprattutto quando ci si contende cose più importanti di una arancia, è che le due cominciano a lottare per impossessarsi dell'arancia e finisce che a entrambe rimane in mano solo qualche brandello di una arancia schiacciata. Una terza via, considerata ottimale tra persone civili, sarebbe dividersi l'arancia in due, anche se non è detto che mezza arancia sia sufficiente alle due parti.
Ma se le due signore si mettessero a parlare spiegando i loro bisogni, potrebbero scoprire che a una serve la buccia per fare i canditi e all'altra il succo per dissetarsi e potrebbero così acquistare l'arancia insieme pagandola metà per uno, con un vantaggio economico e una riduzione degli scarti, prendendosi entrambe la parte di cui hanno bisogno.
L'esempio dell'arancia non è così anomalo, e molti dei conflitti tra le persone o nella società hanno caratteristiche analoghe. Sono abbastanza rari i conflitti in cui non sia possibile dare alle parti più che la semplice metà di ciò che hanno bisogno. Molte volte basta distinguere le richieste dai bisogni che motivano tali richieste e dare risposta ai bisogni: le signore volevano l'arancia ma avevano bisogno una della buccia e l'altra del succo.
A prescindere dalla modalità con cui si affronterà il conflitto, per essere in grado di affrontarlo bisogna imparare. In altre parole bisogna avere vissuto dei conflitti in cui aver messo alla prova le strategie, le proprie
emozioni, le proprie capacità. Evidentemente la cosa migliore per farlo è in un contesto educativo, dove gli eventuali errori non hanno conseguenze gravi. Però non basta aver sentito parlare di come altri hanno affrontato un conflitto per saperne affrontare di analoghi, come sa chiunque ha vissuto la tensione di un conflitto.
Eppure ai nostri giovani nessuno insegna ad affrontare i conflitti. Un tempo i giovani erano costantemente in conflitto, a partire da quello con i propri genitori, coi propri insegnanti o con i propri coetanei e nessuno si stupiva di ciò perché era una maniera per prepararsi ai conflitti della vita adulta che erano considerati parte necessaria e vitale dell'esistenza. Ma la nostra società ha talmente sofferto per l'aberrazione di questo modo di vedere le cose, come per la guerra o per il terrorismo, che è terrorizzata anche solo dal pensiero del conflitto, arrivando spesso a rimuoverlo e nasconderlo e soprattutto nascondendone la positività ai giovani. Non sapendo proporre una maniera di affrontare il conflitto che non fosse solo distruttiva, si è pensato di negare ai giovani l'esperienza del conflitto come se questo potesse evitare loro di vivere i conflitti nella loro vita. Facendo così invece li si è resi incapaci di affrontare gli inevitabili conflitti della vita adulta. Cosa analogo sta avvenendo riguardo all'affrontare i problemi. A volte, anche per fare meno fatica, si preferisce evitare ai giovani di affrontare i loro problemi sostituendosi a loro nella soluzione, ma questo finisce per non dare loro la possibilità di cimentarsi a trovare soluzioni.
E così i nostri giovani, diventati adulti, si troveranno scaraventati in una società in cui il conflitto sarà ovviamente ben presente e crudo e i problemi da risolvere saranno molti ed inevitabili ma non saranno in grado di affrontarli positivamente. Il più delle volte vi soccomberanno  sfruttati e sprecati senza la capacità di fare valere il loro valore. E se questa adesso è una fregature per loro, lasciandoli in un limbo senza fine, a breve diventerà una fregatura anche per tutte le altre generazioni che in questi anni hanno pensato di evitare loro le sofferenze e le difficoltà. Gli adulti di adesso rischiano di non poter contare sulle generazioni più giovani nel momento della propria vecchiaia.

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tessera del poliziotto

Dopo i fatti del G8 di Genova è stata presentata una proposta di legge per permettere l'identificazione degli agenti
in servizio di ordine pubblico ma adesso una battuta di un calciatore è stata usata per rifiutare quello cui allora
pochi osavano obiettare.
Mi riferisco al fatto che Maroni ha usato una idea legittimamente espressa come semplice battuta da un giocatore,
De Rossi, per trasformare una richiesta sacrosanta in una cosa da rifiutare a priori.
Il giocatore aveva tutto il diritto di esprimere il suo parere ma lo ha fatto in un momento e un contesto tale per cui
la sua richiesta è stata etichettata come una cavolata "da calciatori".
I calciatori secondo me avrebbero dovuto riprenderla ad un diverso livello almeno perché venisse rispettato il loro
diritto di vedersi rispettati quando esprimono delle idee e se non anche per vedere effettivamente resi identificabili
gli agenti in serviizio di ordine pubblico e invece se ne sono stati zitti lasciando massacrare l'unico che aveva detto
una cosa sensata. Per di più essendosi De Rossi affrettato a "ritrattare", probabilmente sotto la spinta dei suoi
padroni, ha lui stesso svalutato la propria idea.
Ma questo avrebbe richiesto una cultura politica nei giocatori che evidentemente non hanno, purtroppo, come molti
tifosi che preferiscono usare le loro energie per svagarsi ed affrontare problemi effimeri e fittizi piuttosto che i
veri problemi dell'esistenza. Ovviamente non tutti sono così, ma non penso si faccia molta fatica a riconoscere
questa carenza in buona parte di coloro che passano le giornate a parlare di calcio.
Se il giocatore non si fosse limitato a dire una battuta, evitando poi, per di più, di ritrattarla, e i giocatori
insieme avessero espresso seriamente un loro parere chiedendo l'identificabilità degli agenti avrebbero dato una
notevole forza ad una richiesta sacrosanta che già in altri paesi ha portato alla numerazione degli agenti,
mentre adesso per come è stata espressa, per di più dopo che il giocatore ha accettato di ritrattare, risulta essere
una richiesta "assurda", vanificando il lavoro fatto negli anni da persone decisamente meno importanti dei giocatori
di calcio ma che si erano attivati ugualmente per cercare di evitare in futuro altri abusi come quelli del G8.
In questo senso penso che il calcio sia l'oppio dei popoli, e lo dico come cattolico credente che cerca di distinguere
la fede critica e travagliata dall'integralismo religioso.
Io non penso che i tifosi siano intrinsecamente violenti, ma che il mondo del calcio educhi alla violenza in tante
maniere, cosa che fa anche il tanto decantato mondo del rugby e buona parte degli altri sport competitivi,
soprattutto quelli di squadra.
I giocatori spesso sono come quei pii preti che inducono le beghine di turno ad evitano di affrontare
la dura realtà nascondendosela dietro una cortina di santi e madonne.

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