Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

23/10/09

Per mettersi in mezzo (18)

1/8/09
Oggi c'è il Festival della Resistenza Nonviolenta. Inframezzato dalle “dabke” fatte dai bambini del villaggio si susseguono alcuni interventi delle associazioni e dei gruppi che collaborano con il villaggio nelle iniziative. Era bello sentire un attivista di Ta-ayush parlare in israeliano con la traduzione in arabo. Le ragazzine facevano delle litanie alternate. Alla fine viene rappresentata una scenetta dove alcuni pastori vengono aggrediti dai coloni e i soldati dell'esercito invece di proteggere i pastori aggrediti li vessavano ulteriormente e una scenetta in cui, se non ho capito male, si parlava di un matrimonio finito male.
Tornando alla casa mi dicono che la ruspa che stamattina mi ha nuovamente svegliato martellando l'ennesimo buco è stata fermata dalla DCO, l'autorità israeliana che controlla gli aspetti civili dell'occupazione. Mi dicono che ci sono due americani che controllano quello che sta succedendo. Vado a vedere anche io, visto che è anche vicino. La ruspa sta ancora scavando, c'è un humvee e una jeep fermi lungo la strada, dei soldati che parlano con i palestinesi. Sembra si stiano mettendo d'accordo. Mi avvicino ad uno dei due graduati, mentre l'altro sta telefonando.
Gli chiedo cosa sta succedendo. Mi chiede da dove vengo, dico Italia, mi chiede il passaporto, glielo do. Mi dice che hanno dato ordine di interrompere i lavori. Gli chiedo cosa succede se non smettono di lavorare. Quello che ha finito di telefonare mi dice che gli ha concesso di spostare le rocce che ostruivano l'entrata di casa “dove ci sono donne e bambini” ma poi smettono. Chissà cosa avrebbero fatto se fossero stati tutti maschi adulti. Mi chiede come mai sono lì e gli spiego che sono in visita e che sono venuto per cercare di capire le ragioni di questo conflitto. Intanto che sto chiacchierando con loro arriva una delle due americane che erano a debita distanza a guardare e mi chiede sussurrando se ho il passaporto. Le dico di si. Poi mi suggerisce di stare più lontano dai militari. Loro di solito non ci parlano, al massimo si limitano a urlargli dietro. Le dico di non preoccuparsi.
Dopo un po' la ruspa finisce di spostare i pietroni. Chiedo ai militari se gli rilasceranno un foglio che gli ordina di interrompere i lavori. Il primo di indica il secondo come a dire lo fa lui. Alla fine però non vedo girare nessun foglio. Dubito che ne abbiano consegnato uno ma questo significa che non sarà possibile neppure fare un ricorso per via amministrativa. Come per la linea della corrente elettrica.
Nel pomeriggio dopo lungo temporeggiare partiamo per Gerusalemme. Fabio ci accompagna a vedere Hebron e la sua colonia di ebrei.
Nel centro storico della città, che è completamente araba da secoli, dato che è presente il luogo che si ritiene sia la tomba di Abramo si sono andati ad installare dei fondamentalisti ebrei che hanno occupato in alcune situazioni il piano superiore della case creando non pochi problemi ai negozi sottostanti che in parte hanno chiuso e altri invece hanno dovuto mettere delle reti per cercare di bloccare il lancio di oggetti dall'alto. Una via della città vecchia che un tempo era vivacissima e congiungeva due lati della città adesso è bloccata da dei containers perché è stata occupata dai coloni. Ci addentriamo e arriviamo ad un check point che porta all'edificio che racchiude la tomba dei patriarchi. Prima l'edificio era una moschea ma adesso è stato diviso in due, metà moschea e metà sinagoga. Ci mancherebbe che anche i cattolici rivendicassero Abramo come proprio capostipite e pretendessero una fetta anche per loro. Anche se, per altro, almeno i cristiani non escludono i credenti in altre religioni dai loro luoghi di culto per cui un cristiano non può andare a visitare le tombe dei patriarchi a meno che non si finga ebreo o mussulmano.
Ripartiamo da Hebron e quando arriviamo a Betlemme avviene una piccola tragedia. Nella foga del cambio di bus mi cade il cellulare ma me ne accorgo solo quando sono già in viaggio per Gerusalemme. Non sembra ma in certe situazioni un evento che da sicuramente fastidio perché non è solo una questione di soldi ma di informazioni importanti o che si ritengono preziose perse, può diventare molto più grave. Intanto che Gerusalemme si avvicina mi vengono in mente tutti i problemi che la perdita comporta anche nei giorni successivi. Quando arriviamo a casa sono veramente sconfortato e non mi tira su il pollo fritto e patatine che andiamo a prendere in centro.

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Per mettersi in mezzo (17)

31/7/09
Durante la notte l'aria si rinfresca parecchio e sale una forte umidità tanto che all'alba intravedo nel dormiveglia il sole dietro delle nuvole con tutte le gradazioni dell'arcobaleno. Mi godo l'immagine e mi giro dall'altra parte.
Quando sentirò un martello pneumatico mi verrà in mente la Palestina. Anche stamattina che teoricamente non avrei nessun compito e potrei dormire sono stato svegliato dal martellare del martello pneumatico di una ruspa che da quando sono qui sta crivellando il villaggio di voragini. Dubito che siano tutti lavori autorizzati, anche perché non so se da queste parti serve una autorizzazione per bucare o costruire all'interno dei piani di espansione, ma non sono neppure sicuro che siano tutti dentro i confini del piano di sviluppo del villaggio. Uno dei buchi infatti è stato fatto di lato alle macerie di una delle case che in passato sono state demolite dagli israeliani perché fuori dei confini. Non che i palestinesi si siano demoralizzati, lo hanno ricostruito in muratura a forma di tenda e lo hanno ricoperto con una tenda vera. Comunque da mattina a sera per il villaggio si sente un martellare assordante e costante.
A metà mattinata gli altri del gruppo, non avendo niente fa fare dato che il summer camp è ormai finito, decidono di fare una passeggiata fino al villaggio a fianco dell'altra colonia. Mi chiedono se vado ma non ho voglia di farmi due camminate di un'ora sotto il sole, soprattutto al ritorno, per tornare dove ero andato a controllare lo scavo delle latrine (altra giornata di martello pneumatico). Così resto alla casa con gli americani che non sono andati a Tuba a dormire, Mi viene voglia di andare all'albero sopra il villaggio a leggere un libro e quando sto per partire noto una strana agitazione tra gli americani. Diana è impegnata in una telefonata abbastanza concitata e alla fine le chiedo cosa sta succedendo. Mi dice che i militari e la polizia hanno fermato il gruppo di americani che erano a Tuba e stavano accompagnando dei pastori al pascolo, gli hanno ritirato le carte di identità e li minacciano di arresto. Mi dice anche che gli altri del gruppo che stavano transitando per andare all'altro villaggio, che sono arrivati nel frattempo, sono stati avvertiti di cosa stava succedendo e si sono defilati osservando da lontano. Chiamo la Fede e mi dice che sono fermi al sole ad aspettare di vedere cosa succede.
Non potendo fare niente per il momento dico a Diana che sono all'albero e di chiamarmi se posso essere utile.
All'alberone sopra il villaggio l'aria è fresca e il vento tira allegro. Il panorama è molto bello. Una cosa meravigliosa di questi posti è che vedi ovunque. Anche oggi, dopo che l'umidità della notte si è dileguata, dalla collinetta su cui è l'albero si vedono i villaggi e le cittadine a chilometri e chilometri di distanza, si vedono i trattori che vengono e vanno, le persone che camminano lungo le strade come in un presepe immenso. E qui proprio di presepe si può parlare.
Dopo un'oretta chiamo Fede per sapere che ne è di loro. Mi aveva detto che mi avrebbe aggiornato ma non ho ricevuto nessuna notizia. Mi dice che sono ancora piantati sotto il sole ad osservare quello che sta succedendo agli americani. Mi sento un po' in colpa di stare al fresco sotto l'albero, stamattina mi è andata bene ad essere stato un po' pigro.
Dopo un'altra ora, quando sto per richiamare ricevo  un messaggio di Fede che mi dice che sono tornati a casa. Alla fine la polizia ha restituito i documenti a tutti ed ha portato alla stazione di polizia il pastore per fornire chiarimenti sulle cosa che ha chiesto, almeno così dice la polizia. Mi viene il dubbio che questa volta la presenza di tutti quegli internazionali, metà della delegazione americana, assieme al pastore sia servita più ad attrarre i militari che a dissuaderli dall'intervenire. In compenso i membri della delegazione sembrano provati dall'esperienza. Verrebbe da pensare che la cosa sia stata organizzata come simulazione di una situazione di conflitto per il loro training.
Nel pomeriggio andiamo tutti all'albero anche con il responsabile di tutti i progetti appena arrivato dall'Italia in vista della riunione del 2 con gli americani che, appena arrivato all'albero, chiede ai volontari permanenti di appartarsi con lui per una riunione. Noi restiamo a chiacchierare e prendere il fresco che ormai tanto fresco più non è. Dopo un'oretta tornano dall'albero e questa volta ci chiedono di andarcene perché hanno appuntamento lì con il “capo villaggio” per parlare con lui del futuro della permanenza degli italiani. Mi sento infastidito. Alla partenza mi era stato esplicitato, senza che neppure lo chiedessi, che qui non ci sarebbe stata distinzione a seconda della durata della propria permanenza come volontari, tanto che avevo pensato che, proprio perché novellino della situazione, mi sarei impegnato ad ascoltare prima di dire la mia come spesso faccio. Eppure qui in molte situazioni noto che i volontari di periodo più lungo si aspettano un certa subordinazione da parte di quelli di più breve periodo, per esempio riguardo al cosa fare nelle situazioni di emergenza, anche se esplicitamente la cosa viene costantemente smentita. Penso che possano esserci ottime ragioni per dare più importanza alle posizioni di chi ha maggiore esperienza in loco, ma penso sia più corretto riconoscere la cosa invece che affermare in teoria il contrario.
Prima di cena chiedo a Ele, che cura il calendario, che turni farò nei prossimi giorni, anche per potermi organizzare eventuali visite quando sono a Gerusalemme. Lei mi risponde che domani tornerò con quelli del summer camp. Quando le faccio presente che non le avevo chiesto cosa facevo “il prossimo giorno” ma “i prossimi giorni” mi dice che non sa ancora dirmi e la cosa mi indispettisce non poco visto che è da una settimana che le ho spiegato anche il motivo per cui vorrei poter sapere con un po' di anticipo quali turni farò.
Alla sera, dopo cena, Fabio mi chiede di fare due passi con lui. Viene anche Ele. Chiacchieriamo del più e del meno nel buio subito fuori dal paese. Il paesaggio è veramente bello, con le luci di tutti i villaggi in lontananza, e per caso ci sediamo di fianco ad una pianta che ha un profumo intenso e molto buono. Ad un certo punto il discorso arriva ai turni e mi chiedono se io pensavo ancora di tornare al villaggio nei prossimi giorni. Un po' mi stupisco e dico che se ho dato la disponibilità per un certo periodo non mi sembrerebbe neppure corretto cambiarla a metà e comunque non avrei motivo di non voler venire ancora al villaggio. Allora mi chiedono come sono state queste due settimane per me. Gli spiego che ci sto ancora riflettendo, che sto osservando e vivendo le cose per poi rifletterci anche in seguito. Mi dicono che sono molto interessati alle mie osservazioni, che ci tengono perché pensano siano molto utili per permettergli di rivedere la loro esperienza in confronto ad altri approcci. In fondo io Fabio e Ele ci siamo conosciuti in occasioni di formazione sui temi della gestione dei conflitti in aree di crisi ma non abbiamo avuto mai molta possibilità di scambio di idee e di confronto.
Io gli prometto che finito il periodo condividerò con loro le mie riflessioni ma che mi sembra meglio adesso vivere l'esperienza senza che le mie valutazioni vadano ad interferire con la vita del gruppo. Così me ne torno alla casa nel silenzio della notte con il vento che mi accarezza sentendo che da parte loro c'è una stima profonda come io ho per loro.

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Per mettersi in mezzo (16)

30/7/09
Stamattina grande novità. Ieri sera nella divisione dei compiti Fede ricorda il suo problema al ginocchio per cui non può camminare, ma gli americani sono solo tre e serve una persona per formare una seconda coppia. Così mi propongono di fare coppia con Jes. Ci scherziamo sopra al telefono con Fabio perché lui ha avuto problemi in passato per un sms che finiva con “kisses” per cui gli era stato richiesto di non fare avances. La sera dimenticando il pericolo dovuto al fatto che, come mi avevano detto, lei riteneva sessista che un uomo si offrisse per aiutare una donna, mi ero offerto per aiutarla a lavare i piatti, ed alla fine avevamo anche fatto quattro chiacchiere. Visto lo stato delle relazioni tra i due gruppi mi sembrava già un fatto socialmente rilevante. Che adesso mi proponesse anche di fare coppia con lei quasi mi stupiva. Devo confessare che Jes è la classica ragazza insignificante e non attraente, ma avere la possibilità di interagire con le persone con cui si abita con le quali fino ad ora c'è stata meno della comunicazione indispensabile non mi dispiaceva. Poco dopo però viene fuori che Diana le ha chiesto di fare coppia con lei per fantomatiche necessità legate all'arrivo il giorno dopo di una delegazione, e così vengo accoppiato con Sam, quello che mi aveva sgridato per il mio torso nudo in casa.. Così stamattina l'ho dovuto svegliare alle 6 e mezza, poco prima di partire, perché ha spento per tre volte la sveglia senza alzarsi. Una piccola rivincita.
Lungo la strada riesco ad estorcergli alcune parole, da dove viene, cosa faceva prima di venire qui e poco altro. Tra le varie cose però scopro che non sa dell'esistenza di Genova. Questa è una cosa che mi sta stupendo. Capisco che israeliani e palestinesi non sappiano che esista Genova, per quanto mi viene da addebitare ciò più ad ignoranza dei soggetti che altro, ma quando scopro che sia Jes che Sam non hanno mai sentito parlare di Genova nonostante siano americani da Columbus Day rimango veramente stupito.
Arrivati sulla collina per controllare il passaggio dei bambini, Sam si mette ad ascoltare una radiolina portatile. Dalla BBC vengo a sapere che in Uganda ci sono stati 600 morti e in Sudafrica incidenti sociali. Chissà cosa se ne verrà a sapere in Italia. Finito il radiogiornale in inglese Sam mi fa sentire un “delizioso” recital di una cantante libanese che va per la maggiore, come tiene a precisarmi. Penso che Sam potrebbe benissimo fare il pastore, ne ha lo spirito. Intanto che aspettiamo arrivano da un'altra parte 6 bambini ed un asino che stanno andando al summer camp. Alle 7 del mattino hanno già accompagnato il padre con le pecore per un pezzo e poi hanno continuato per il villaggio. Hanno già fatto mezz'ora di cammino e adesso ne faranno un'altra. Mi domando cosa mi direbbero i miei figli se gli suggerissi una cosa simile. Ci dicono che il padre dovrebbe arrivare tra non molto con il gregge e così rimaniamo anche se nel frattempo i bambini di Tuba sono passati dai capannoni delle galline. Dopo un po' però Sam telefona al pastore, visto che non lo vediamo arrivare, e lui lo rassicura, chiedendogli di rimanere a controllare che non arrivino coloni dalla strada, ma scusandosi perché le pecore sonio stanche e non hanno voglia di arrivare fino da noi. Un po' come quando in ufficio c'è la connessione lenta, sono gli incerti del mestiere.
Tornati al villaggio vado alla scuola dove è previsto lo spettacolo di fine summer camp. Luca e Giuse vestiti da pagliacci fanno giocolerie mentre Ila e Fede fanno pupazzi con i palloncini rubando la scena ai clown. Ancora una volta vedo messa in pratica la “pedagogia del tubo”. Gli animatori arabi del summer camp girano muniti di un tubo nero di gomma abbastanza spessa di quelli che i pastori usano per controllare le pecore e gli asini. Quando qualche bambino è fuori posto lo “accompagnano” con il loro tubo e se non si muove abbastanza in fretta l'accompagnamento è un po' più convincente. Nei giorni scorsi, poi, ho visto il capo degli animatori, un ragazzo che viene da una cittadina vicina, inseguire alcuni bambini che avevano combinato qualcosa e quando ne ha preso uno gli ha stretto il braccio e con il tubo gli ha mollato tre solide nerbate sulla mano. Chissà cosa ne penserebbe don Milani di questi metodi educativi?
Nel pomeriggio è arrivata la delegazione di americani, un po' simile a quella di italiani passata nei giorni scorsi. Questi in effetti stanno facendo una specie di training in vista di un loro futuro utilizzo in contesti analoghi. Così in questi giorni i servizi li faranno loro e noi domani abbiamo un giorno libero.
Alla sera mi lancio. Sono un po' stufo di mangiare ogni sera pasta con le melanzane e insalata di pomodori, cetrioli e peperoni. Così mi offro e faccio il “pesce finto”, patate bollite schiacciate e mischiate ad una scatoletta di tonno, ricoperte con uno strato di maionese fatta a mano e guarnito a forma di pesce con olive verdi. Peccato che quando ho versato il tonno nelle patate è spuntato in mezzo al tonno un peperoncino rosso confezionato nella scatola. Fortunatamente le patate erano abbastanza da contrastare il piccante.

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Per mettersi in mezzo (15)

29/7/09
Ieri sera non c'era molto vento e l'aria era abbastanza  irrespirabile. Alla sera l'aria si riempie del fumo della spazzatura a cui viene dato fuoco, verrebbe voglia di uscire nel fresco dopo il caldo giorno per dare delle belle boccate di aria fresca e invece c'è da tapparsi il naso per la puzza. In genere la gestione dei rifiuti lascia a desiderare. Ieri mattina hanno distribuito ai bambini del summer camp del succo d'uva in confezioni di plastica che sono finite sparpagliate per terra lungo la strada assieme ai relativi cartoni. Quelle che sono state raccolte sono state bruciate la sera nei carrelli/cassonetti distribuiti per il paese. Mi domando cosa sia peggio. Il problema è che un simile sistema di smaltimento è corretto con i materiali propri di questi  posti, ma l'inserimento di materiali provenienti dalla colonizzazione culturale rende dannosi i metodi di smaltimento. Se quando l'occidente colonizza il mondo avesse almeno cura di colonizzarlo “a ciclo completo” eviterebbe gli scempi che distruggono l'ambiente degli altri paesi molto più che quelli dell'occidente. Ma la colonizzazione a ciclo completo richiederebbe di comprendere anche i costi accessori che renderebbero meno vantaggiosa la colonizzazione, facendo lievitare quei costi di cui spesso graviamo il resto del mondo perfino per i consumi nostri.
Stamattina alle quattro ho sentito il “muezzin” recitare le preghiere coll'altoparlante della moschea. Penso che abbia anche lui un piccolo generatore portatile. In effetti non ho ancora capito chi sia che parla dalla moschea, iniziando col rituale “Allah akbar”, e non sono neppure sicuro che non sia una registrazione, ma ogni tanto anche di notte vengo svegliato dalle sue invocazioni.
Continua la sequenza di albe che mi accolgono nel nuovo giorno. Stanotte mi sonio messo anche delle calze sulle mani, in modo che restasse scoperta solo la faccia, contando sul suo caratteristico materiale bronzeo. Direi che è stato utile, anche se i pappataci sono riusciti a trovare alcuni varchi tra i vestiti in cui insinuarsi riacutizzando la sensibilità delle bolle.
Con Fra siamo andati sulla collina di fronte ai capannoni delle galline. Se avessimo continuato in direzione di Tuba ci saremmo trovati faccia a faccia con due macchine di coloni che alle sei e mezza del mattino se ne andavano, accompagnati dai bambini, a fare chissà cosa per le colline rocciose deserte. Dalla collina li abbiamo spiati col binocolo e non eravamo gli unici. Poco lontano da loro c'erano anche un gruppo di tre gazzelline che brucavano un po' in tensione, girandosi ogni tanto nella loro direzione per controllare che non si avvicinassero. Non è una bella vita sentirsi braccati per la sola presenza di una persona nei dintorni. Più passa il tempo e più mi chiedo che senso abbia venire su questa collina per controllare da mezzo chilometro di distanza il passaggio dei bambini. Se dovesse succedere qualcosa l'unica cosa che potremmo fare è stare a vedere i bambini che scappano gridando e prendere nota dell'ora a cui ciò succede. Eppure mi pare che anche agli americani vada bene così. Me ne farò una ragione.
Le gazzelle non sono l'unica presenza selvaggia che ho incontrato in questi giorni. Quasi ogni giorno vedo qualche lepre che all'ultimo momento schizza di corsa fuori dalla sua tana quando mi avvicino. L'altro giorno, intanto che cercavo i pastori ho intravisto una coppia di volpi. Lo stesso giorno ho incontrato un rettile che saltava da una roccia all'altra con un forma tra il camaleonte e il varano piccolo. Le più graziose però sono queste piccole gazzelle che vanno a gruppetti pronte a fuggire al primo segno di pericolo.
Anche oggi abbiamo dovuto chiamare per richiedere la scorta che non arrivava. I bambini erano 11, preceduti di poco sul passo da due greggi e una coppia di cammelli.
Al summer camp oggi è stato giorno di grande trasgressione. Alla fine come al solito i ragazzi si sono messi a ballare la “dabke”, la danza guerriera che viene riproposta ad ogni occasione, ma questa volta prima hanno invitato anche noi maschi internazionali e poi, incredibile a dirsi, le ragazze si sono date la mano e hanno invitato le donne internazionali. Così, usando gli internazionali come scusa, è stato scardinato il tabù che prevede che solo i maschi possono danzare la dabke mentre le donne stanno a guardare cercando di trattenersi a dal muoversi a ritmo di musica. Ma il massimo si è raggiunto quando maschi e femmine si sono trovati a danzare di fronte. Le ragazze erano radiose e continuavano a ballare nonostante avessero il velo attorno ai capelli completamente madido. Ad un certo punto i piccoli di Tuba, stufi di stare a guardare, ci hanno chiesto di ripartire e così abbiamo lasciato i più grandi ad intrecciare sguardi e strette di mano un po' proibite.
Al gate i bambini erano 12, uno più di  stamattina. Mistero. La scorta era di nuovo in ritardo ma la cosa bella è stata che quando hanno riconosciuto il soldato presente, i bambini ci hanno chiesto la bottiglia dell'acqua che si sono fatti riempire dalla tanichetta che usano i soldati della jeep. Noi, malfidenti, abbiamo subito pensato potesse essere avvelenata, ma poi il soldato, dopo aver riempito la bottiglia, ne ha bevuto anche lui e ci siamo rassicurati. Fra era stupito di tale gesto di gentilezza, io ogni giorno di più mi domando che cosa passi per la mente delle persone che vivono in questo posto.
Uno dei passeracei che erano nel nido i cui genitori ci svegliano con un gran baccano la mattina è caduto dal nido. Non sa ancora volare, dopo poco arriva a terra. Quando è arrivato, un passero adulto è andato a sfamarlo anche da per terra. Ho provato a rimetterlo in alto in modo che non se lo mangi qualche gatto. E' lì, si è messo in bilico su un travetto del tetto. Il passero adulto si è di nuovo messo a dargli da mangiare nonostante lo avessi toccato io, ma non sono sicuro che sopravviverà..
Prima di cena arriva Sam con una focaccia alle cipolle squisita che ha recuperato da qualche abitante del villaggio. E' la cosa più vicina alla focaccia con le cipolle genovese che io abbia mangiato. Solo che qui non è fatta al forno ma su lamiere scaldate al fuoco di legna.

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Per mettersi in mezzo (14)

28/7/09
Oggi sono andato al gate. I militari sono rimasti chiusi nella jeep che seguiva i bambini con l'aria condizionata. Chissà cosa fa comportare in maniera diversa le diverse pattuglie. Qualcuna precede e segue i bambini a piedi, qualcuna si limita a stare sulla jeep. Penso che abbiano tutte lo stesso protocollo ma si comportano diversamente a seconda di chi le compone.
Torno alla scuola alla fine del summer camp per accompagnare i bambini al ritorno. E' la prima volta che vado al gate al ritorno. I bambini arrivano in ordine sparso. Questa volta i militari sono anche in anticipo. Chiedo a Fra come facciamo a sapere che ci sono tutti i bambini. Lui mi dice che dovrebbero essere 8 come stamattina e che comunque basta chiedere a loro perché lo sanno se per caso uno non torna indietro con loro. Mi sembra un sistema un po' debole ma è anche vero che qui il fratellino di 4 anni accudisce la sorellina di 3. La jeep è sempre la stessa, la 611351, ormai so il numero a memoria. Partono per la strada e noi mandiamo i messaggini di rito. Dopo un quarto d'ora però non abbiamo ancora ricevuto la conferma che i bambini sono dall'altra parte sani e salvi. Chiamiamo gli americano che dovrebbero essere ad attenderli ma i loro cellulari non prendono. Fra mi dice che Jes dopo che è stata attaccata dai coloni mascherati ha paura e sta sempre lontanissima dalle zone pericolose per cui potrebbero essere in fondo alla valle per non farsi vedere, dove il cellulare non prende. Alla fine sento Sean che mi conferma che, anche se non li hanno visti prima, i bambini adesso sono arrivati. Forse ha ragione Fra che inveisce contro Jes perché, secondo lui, se uno non se la sente di rischiare per il bene dei bambini è meglio che lasci perdere. Nessuno la obbliga a fare interposizione, può per esempio anche stare nella loro base in città a svolgere lavoro di coordinamento. Ma se uno dà la disponibilità a scortare i bambini è giusto che lo faccia, su quello concordo con Fra.
Nel pomeriggio arriva il “capo villaggio” affranto. Ha ricevuto un ordine di demolizione per la linea elettrica in costruzione per portare la corrente al villaggio. Avevano cominciato a costruirla ma erano stati fermati dalla polizia in maniera informale. Si aspettavano un ordine di interruzione dei lavori per potervi ricorrere contro ma invece è arrivato direttamente l'ordine di demolizione. Pare che il problema sia che la linea elettrica dovrebbe attraversare la bypass road che unisce le colonie passando vicino al villaggio. Riuscirsi a liberare dalla limitazione di dover ricorrere al generatore per avere l'energia elettrica sarebbe per il villaggio una possibilità notevole di emancipazione. Ma le autorità di occupazione ovviamente vedono negativamente questo ipotesi. In fondo loro sperano che il conflitto si risolva semplicemente perché i palestinesi non ce la fanno più e rinuncino. E senza corrente elettrica è decisamente più facile che rinuncino.
Per leggere un po' sono andato nell'”ufficio” dove sono sistemati i volontari per il summer camp e ho finalmente fatto conoscenza con le mie aguzzine, queste maledette zanzarine-pulci che saltellano sulla parete bianca. Sono quasi trasparenti, minuscole e indistruttibili. Neppure tirandogli delle cuscinate riesco a farle fuori, continuano a svoliccchiare e saltellare da una parte all'altra. Sono anche molto silenziose e comunque sono veramente malefiche. Non capita spesso di sentire la propria pelle. Di solito si percepisce di avere una pelle quando si tocca qualcosa. Ora invece ho costantemente la percezione cosciente della mia pelle, la percepisco dai piedi alla testa, anche nelle parti che non mi prudono. Ciò mi crea una tensione costante che non mi permette mai un momento di relax.

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Per mettersi in mezzo (13)

27/7/09
Durante la cena di ieri ci siamo trovati a ragionare sull'azione del giorno dopo. Ci vogliono tre telefonate a Fede per capire quale è l'azione prevista. Ogni volta nella spiegazione viene lasciato qualcosa di sottinteso che ognuno capisce a modo suo. A volte basta poco pur senza essere pedante e, per esempio, invece di dire “percorso breve” basta dire “percorso della casa rosa” o “percorso dove passano i soldati” per distinguere due percorsi che spesso vengono entrambe definiti brevi. A volte un dettaglio che sembra superfluo conferma quello che si pensava di aver capito e permette di essere più rilassati nell'ascoltare il seguito. Se vedo un'auto di coloni e voglio avvertire altri del suo arrivo posso dire “arriva un auto di coloni”, ma se dico “arriva un pickup rosso con a bordo dei coloni” permetto con poche parole in più agli altri di essere sicuri che l'auto bianca che sta arrivando non è ancora l'auto segnalata. Nel comunicare è proprio quando più bisogna essere rapidi che tanto più bisogna aggiungere dei dettagli. Sembra una contraddizione ma una comunicazione efficace non è necessariamente la più breve, aggiungere qualche dettaglio evita di dover ripetere e correggere i messaggio poco definiti.
Dopo le telefonate di chiarimento si capisce che l'intenzione è di andare con tutti i bambini del summer camp e gli adulti del villaggio fino a Tuba ma passando per un percorso che passa attorno al boschetto dove è l'avamposto illegale, abbastanza vicino alla colonia ma non come la strada tra la colonia e l'avamposto illegale in cui i militari accompagnano i bambini. Rimasti un certo tempo a Tuba gli adulti e i bambini del villaggio torneranno indietro ma non è ancora chiaro lungo quale percorso, forse proprio quello che taglia la colonia dall'avamposto.
Devo aspettare Ilaria che torna da un matrimonio a Betlemme. Passo la mattina a scrivere e a chattare quando la connessione funziona. La connessione “rubata” è problematica già da ieri sera ma a metà mattina ricomincia a funzionare un po' meglio.
Chiamiamo Ale e Fede per sapere come va al villaggio. Ci dicono che la prima parte della marcia è andata benissimo e che grandi e bambini sono arrivati a Tuba tutti insieme passando per il percorso previsto. Ci dicono che a Tuba sono anche arrivati alcuni militari ma che sono cordiali e danno consigli sul ritorno per evitare di passare vicino al poligono di tiro della colonia.
Mi scrivono dal lavoro per dirmi che il prossimo anno mi stravolgono l'assegnazione alle classi. Li chiamo e scopro che la segreteria ha sbadatamente invertito l'ordine della graduatoria interna. Grazie ad internet chiarisco la questione da duemila chilometri di distanza.
Chatto con mia moglie, discutiamo di alcune cose. Ele mi dice che sembra che tutti quelli che vengono qui si trovano a dover ridefinire i propri rapporti affettivi. Lei l'ha risolta brillantemente sposandosi Fabio e venendo qui con lui.
Finalmente arriva Ilaria ma decidiamo di partire dopo pranzo. Siamo in quattro, Ele, Fabio io e Ilaria. Chiamiamo per aggiornamenti e ci dicono che è andato tutto bene, che al ritorno sono passati quasi per lo stesso percorso dell'andata, che due macchina di coloni li hanno seguiti inveendo e loro si sono messi in mezzo tra le macchine e il corteo ma dopo poco i coloni se ne sono tornati indietro e tutto è andato senza problemi,“fish muskila”. Tra noi a tavola parliamo di nuovo della questione dei bamibini, dei vestiti e dell'incontro tra le culture. Arriviamo a parlare anche di differenze tra settentrionali e meridionali. Questa volta c'è più disponibilità ad ascoltarsi, non come la sera prima che Ale ha preferito lasciare il tavolo per fumarsi una sigaretta così da non dover sentire le mie critiche al coinvolgimento dei bambini nell'azione.
Ritirato i panni lavati dallo stenditoio e sistemato lo zaino, finalmente partiamo. Io non so l'arabo e Ilaria pochissimo ma ci lanciamo nell'impresa. Lei è stata qui lo scorso anno a fare quello che faccio io e quest'anno è venuta per seguire il summer camp, questo centro estivo di due settimane per i bambini e i ragazzi dei villaggi intorno.
Parto con i pantaloni corti ma prima dell'ultimo cambio di service mi attacco le “extension” che li trasformano in pantaloni lunghi. Ilaria allo stesso tempo si mette un fazzoletto in testa. Ci adeguiamo.
Dopo l'ultimo passaggio c'è da fare un tratto di una ventina di minuti a piedi. Lungo la strada si passa di fianco ad una discarica in cui vengono anche abbandonate carcasse di animali morti. Questa  è una cosa che mi stupisce. Non è così raro vedere ai bordi delle strade delle carcasse di pecore, asini, capre e altre bestie abbandonate, in parte spolpate e in parte rinsecchite. Ovviamente l'odore nei dintorni non è il più gradevole. Camminando verso il villaggio vediamo anche un agnellino morto da poco tempo che sembra che stia dormendo. Mi domando come mai facciano così. Se le bestie sono morte per un incidente mi aspetterei che ne macellassero la carne, anche se probabilmente ci sarebbero solo i cristiani che potrebbero mangiarla. Ma se le bestie sono morte per una malattia mi sembra strano che non ne brucino la carcassa o che non la sotterrino, a rischio che la malattia si diffonda. In ogni caso, tra scheletri, budella gonfie e tanfo di morto sono uno spettacolo ributtante che mette angoscia. O magari mette angoscia solo a me che forse ho un diverso rapporto con la morte rispetto a chi vive qui.
Arrivati al villaggio decido di sistemare le mie cose nelle stanze messe a disposizione per i volontari del summer camp. Forse mi ci sentirò un po' di più a casa.

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Per mettersi in mezzo (12)

26/7/09
La notte è passata bene. I piedi sono ancora da lebbroso. Non sono riuscito a guadagnarmi un letto visto che siamo in tanti ma almeno un materassino sistemato in cucina me lo sono meritato. Stamattina con Fede sono andato dai cappuccini per la messa in italiano con caffè. Il celebrante era un ospite un po' saputo e presuntuoso mentre il frate che ci ha accolto era veramente caloroso. Fa effetto sentire leggere i racconti del vangelo pensando che si sono svolti dietro l'angolo. Oggi mi immaginavo le folle che  si sedevano per ricevere pane e pesce tra le colline vicino a Tuba. Dopo la messa offrono il caffè ai presenti e Fede ha parlato con un funzionario dell'ambasciata per vedere di risolvere il suo problema del visto che dura solo un mese.
Ho raggiunto gli altri per andare a visitare il Museo dell'Olocausto. Quando sono arrivato però mi dicono che dovrebbe esserci un cambio di programma perché dovrebbero processare Nasser stamattina e saremmo andati al tribunale per essergli vicino. Poco dopo, però, arriva il contrordine perché il processo sarà al tribunale militare di Ramallah. Non si pone neppure il problema se andare o meno dato che nel tribunale militare non fanno entrare gli internazionali. Così un po' preoccupati per Nasser andiamo al museo. In un parco alla periferia di Gerusalemme hanno creato uno spazio museale mastodontico. Mi sono immerso nella sezione storica. Dopo quattro ore ne ho visitato solo metà e i custodi mi guidano verso l'uscita perché il museo sta chiudendo. E' organizzato cronologicamente a partire dalle discriminazioni razziali per arrivare ai tempi dell'esodo verso la Palestina. Sono storie sentite molte volte ma non così estesamente. Uno dei ragionamenti che più mi ha fatto effetto è di constatare che molte delle misure previste nelle leggi razziali che discriminarono gli ebrei sono molto simili a quelle che stanno vessando i palestinesi dei Territori Occupati. Per esempio l'impossibilità di lavorare o di commerciare, la limitazione di movimento entro spazi riservati. Quando ho visto la panchina non per gli ebrei mi è venuta in mente la trovata del leghista che voleva fare panchine solo per i padani.
Mi inorridisce la storia del ghetto di Lodtz dove il capo del ghetto ad un certo punto ha ricevuto l'ordine di ridurre il numero dei presenti nel ghetto e questo si è preso la briga di fare un lungo ragionamento che prevedeva che tutti i malati e i bambini sotto i 10 anni venissero sacrificati per salvare la vita di tutti gli altri. Viene presentato come un rinnegato e venduto al contrario del capo del ghetto di Varsavia che in una simile situazione si è suicidato. Penso che neppure la storia possa dire chi ha avuto ragione. Nella parte finale guardo al volo la parte che narra degli episodi di partecipazione degli ebrei alla resistenza come premessa alle stanze in cui si parla della nascita dello stato di Israele.
Alla fine quando esco scopro che Fabio è più di un'ora che mi sta aspettando ma dato che il museo è sotterraneo non è stato in grado di chiamarmi sul cellulare. Mi minaccia scherzosamente vendetta.
Torniamo a casa che gli altri sono già partiti. Ci chiama Fede per dirci che la marcia dal villaggio a Tuba è prevista per domani mattina alle 9. Fra e Ale sono eccitati, vogliono partire per esserci. Temo ancora una volta la sveglia all'alba ma all'ultimo si decide che andrò nel pomeriggio con Ilaria a perderci in due per i Territori Occupati

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Per mettersi in mezzo (11)

25/7/09
Ieri sera gli americani hanno chiesto al fratello del sindaco, che è l'animatore delle azioni nonviolente del villaggio, che azione intendono fare oggi. Hanno detto che ogni sabato faranno una azione nonviolenta come quella di sabato scorso. Sembra di capire che l'azione sarà dalle case in costruzione. Ricominceranno la costruzione nonostante l'ordine di interruzione consegnato nei giorni scorsi il giorno in cui hanno arrestato Nasser e forse alla fine del summer camp andranno tutti insieme, bambini e adulti, sulla strada dove c'è la scorta dei soldati.
Stamattina ci svegliamo presto per andare sulla collina a controllare l'arrivo dei bambini, per sbaglio avevo sull'orologio l'ora italiana e così mi svegliano 10 minuti prima di partire. Faccio in fretta e non mi lavo, tanto non cambia molto. Lungo la strada chiacchierando ricordo la frase di Primo Levi dove racconta che nel campo di concentramento era fondamentale il lavarsi nonostante tutto per conservare la dignità umana. Salendo si intravedono i cubicoli di mattonacci di cemento che i palestinesi stanno costruendo e Ale è molto contenta che si siano messi a costruire. Mi viene da notare che se invece che in Palestina fossimo in Sicilia forse se la prenderebbe per quei contadini che fanno uno scempio ambientale costruendo casacce abusive. Così ci troviamo a disquisire sul contesto. Ogni cosa ha un significato per il contesto in cui è. Far saltare in aria senza nuocere a persone una struttura militare può essere nonviolenza ma fare un digiuno, come per allontanare un campo nomadi, può essere violento dipende dal contesto. Esprimo a Ale le mie perplessità sul fatto che si pensano di usare i bambini nell'azione perché sarebbero come scudi umani. Ale è scandalizzata e mi chiede di spiegare. Le dico che i bambini non dovrebbero essere carne da macello. Ale non accetta la mia critica, mi chiede come mi permetto di esprimere giudici così violenti dopo una settimana che sono qui. Cerco di spiegarle che il mio non è un giudizio ma una critica. Una mia valutazione sulla base delle mie conoscenze e dei miei valori culturali. Non è un giudizio sulle persone ma una considerazione derivante dalle mie riflessioni sulla base della mia esperienza. Ale non accetta la cosa e comincia a chiedermi sulla base di che conoscenze faccio formazione sull'intervento in aree di conflitto. Le spiego che finora ho sempre lasciato ad altri parlare degli interventi in aree di conflitto e che io parlo sulla base della mia esperienza nella gestione dei conflitti locali. Mi chiede perché sono venuto a fare questa esperienza. Le spiego che in parte è per capire meglio questa realtà, in parte per verificare sul campo pensieri e riflessioni che rimarrebbero solo teoria e in parte perché vorrei riuscire a ridurre il livello di conflitto nel mondo imparando anche modalità efficaci per fare questo. Le chiedo perché lei  è qui e mi dice che è perché ha incontrato il responsabile dell'organizzazione che per la prima volta le ha smosso nel profondo il senso della vita che poi ha vissuto venendo qui. Ma si capisce che mi disprezza per la mia precedente affermazione. E alla fine mi chiede “perché stimi le persone”. E' chiaro che mi sta dicendo che non mi stima e vorrebbe me lo dicessi da solo. A quel punto passano i ragazzi e dopo poco arriva il messaggio che i bambini sono arrivati. Ce ne torniamo verso il villaggio in silenzio. Il suo viso è duro, sprezzante.
Torniamo alla casa e mi faccio una doccia con mezza bottiglia d'acqua. Prima di rivestirmi prendo un mezzo limone e me lo spalmo su tutte le bolle che i pappataci mi hanno fatto le notti prima. Mi prudono in maniera insopportabile e stanno aumentando di dimensione e di fastidio anche dopo un giorno e una notte. Ho provato con le creme apposta ma l'unico sollievo me lo ha dato ieri sera il limone e così oggi faccio una cosa più sistematica. Si vede che il liquido dei pappataci è basico perché l'acido del limone riduce il fastidio e la voglia irrefrenabile di grattarsi.
Ci incamminiamo verso le case in costruzione. Fede, arrivata ieri pomeriggio, racconta che lo scorso anno quando i palestinesi hanno provato a camminare lungo la strada per Tuba ci sono stati pestaggi forsennati da parte dei militari e della polizia e mi dice che ha paura che quest'anno sarebbe peggio. Mi limito a dirle che non ho mai visto morire un uomo e non vorrei doverne vedere uccidere uno. Mi dice che a lei è già capitato ma che bisogna saper affrontare anche questo.
Mi dico di aspettare a vedere cosa succederà. Andiamo dalla scuola dove è l'appuntamento per l'azione. Siamo lì che aspettiamo e arriva un'auto della polizia. Ale gli va incontro e loro fanno riferimento all'incontro con noi il giorno prima e mi fanno anche un complimento dicendole che avevano incontrato due giovani. Chissà se tornato in Italia mi riabituerò alla mia età. Quasi sicuramente la polizia è venuta perché ieri, quando siamo stati fermati, alla domanda se al villaggio avremmo incontrato degli israeliani io ho detto che il sabato prima li avevamo incontrati ma loro hanno capito che li avremmo incontrati oggi, il sabato successivo. Avevano tanta voglia di scoop che ne sono rimasti convinti anche quando ho precisato che era il sabato prima.
Partita la polizia torniamo ad aspettare. Ci dicono di andare dalla casa in costruzione. Non vediamo nessuno ma poi scopriamo che sono dentro a fare il pavimento. Ci mettiamo all'ombra ad fare i “guardoni”. Un po' mi imbarazza rimanere a guardare per ore persone che lavorano pesantemente sotto un sole cocente. Lontano, sul bordo del bosco, c'è un humvee dell'esercito fermo. Sicuramente è lì per controllare cosa sta muovendosi nel villaggio. Ci mettiamo ad aspettare che succeda qualcosa ma tutto è fermo e i muratori vanno avanti a costruire. Una donna raccoglie un po di radici e sterpi. Si è portata dietro una tanichetta di acqua e un bollitore e in pochi minuti prepara un te alla salvia buonissimo. Ne bevo tre bicchieri. Dopo più di un ora l'humvee si muove e scende verso il paese. Ci prepariamo, accendiamo le telecamere e dettiamo luogo data e ora in modo che rimanga registrata all'inizio del video. L'humvee si avvicina … ma prosegue oltre senza considerarci. Ci chiedono di raggiungere la casa in costruzione subito sopra per essere sicuri che non sia andato da loro. Io e Fede la raggiungiamo accompagnati da due bambini. Ci fanno le feste. La casa è un cubicolo di cinque metri per cinque. La bimba che ci accompagna ha spiegato a Fede che adesso si sono trasferiti stabilmente a stare lì. Sono una famiglia di 4 femmine e 6 maschi, la prassi. Sulle stuoie c'è una bimba di 5 mesi coperta da un velo per non farla infastidire dalle mosche.
Fuori è parcheggiato un grosso pickup cabinato, il figlio maggiore ha un cellulare che può funzionare anche da walky talky con il padre ma nella casa non c'è assolutamente niente se non un po' di stuoie e materassini in terra. Le cose stonano, sembrano in contraddizione, ma solo nel mio mondo, non qui. Da quando ci sono gli internazionali molte persone che avevano abbandonato le loro case per le minacce dei coloni sono tornate, e qui ci mettono poco a ripopolare un villaggio a botte di dieci figli per famiglia.
Chiacchierando parlo dei miei figli e la signora, quando dico che ho “solo” due figli mi dice che avrei dovuto almeno avere due maschi e  due femmine. Non so il motivo di quella contabilità ma poco dopo mi chiedono un po' preoccupati se ho due figli per problemi fisici. Li ho rassicurati ma non sono riuscito a giustificare il fatto che ho “solo” due figli, almeno non usando i loro parametri. Dal loro punto di vista ne avrei dovuti fare almeno venti.
Ci offrono delle prugne acerbe e dei cetrioli come spuntino ma prima di pranzo ce ne andiamo. Nel pomeriggio dovremmo tornare a Gerusalemme ed è quasi ora. Quando stiamo tornando alla casa vediamo una jeep dell'esercito venire verso le case ma subito fuori dal villaggio si ferma bloccando il passaggio di una macchina che sopraggiungeva. Ci lanciamo a vedere cosa succede correndo per i campi ma poco dopo i militari fanno passare la macchina e si posteggiano di lato alla strada, scendono e aprono il cofano. Intanto che noi li raggiungiamo tirano fuori una tanica e la versano nel motore, forse acqua per il radiatore. Fede chiede a un militare come va ma quello grugnisce ok. Chiede se hanno problemi e loro dicono di no. Ci mettiamo vicino un po' all'ombra a controllare cosa fanno. La jeep è la 611351, quella che tutte le mattine accompagna i bambini. I bambini della scuola vorrebbero passare ma un adulto cerca di convincerli ad aspettare. Non c'è versi e i bimbi vanno, arrivati alla jeep si lanciano in un “shalom” da veri diplomatici e vanno via dritti. A quel punto anche l'adulto passa. Dopo un po' senza che fosse successo niente la jeep si allontana.
Della marcia con i bambini non se ne sa più niente, qualcuno dice che è rimandata a domani. Tanto tuonò che non piovve. Finalmente possiamo tornare a casa e chiamare il service che ci porterà al primo cambio per Gerusalemme.
Arrivato alla casa di Gerusalemme faccio una doccia bollente per cauterizzare le punture dei pappataci. Stanotte spero di dormire senza prurito.

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Per mettersi in mezzo (10)

24/7/09
Non ho mai visto così tante albe una dietro l'altra. Mi è capitato di vederne una ogni tanto ma raramente due di seguito. Qui ogni giorno vedo l'alba, alla faccia di “Ecce bombo”.
Oggi io e Miki torniamo nel posto dove sono arrivati i coloni mascherati. Andiamo di nuovo ad accompagnare i pastori.  Questa volta però passiamo per la “bypass road” che è più rapida ma potrebbe fermarci la polizia. Quando arriviamo in zona mi prendo una storta e comincio a zoppicare. Mi faccio un massaggio e la caviglia ricomincia a funzionare normalmente. Meglio così, non avrei voluto essere di impiccio. Cerchiamo il gregge ma nel solito posto non c'è. Io sento un belato nella direzione della volta scorsa ma andando lì non troviamo niente. Mi infastidisco perché Michele non sembra credere che abbia sentito il belato ma poi risulta che ha ragione lui e probabilmente io ho sentito l'eco di un belato in quella direzione.
Raggiungiamo il gregge e troviamo tre ragazzini a pascolarlo. Sanno parlare un pochino di inglese e così' riesco a scambiare qualche parola.
La prima cosa che mi chiedono, ovviamente, è il nome. Poi da dove vengo e mi rendo conto che quasi nessuno da queste parti, palestinesi o israeliani, ha mai sentito parlare di Genova. Eppure io conosco benissimo cittadine come Ramallah o Hebron ma purtroppo non le conosco per le loro bellezze turistiche.
Il passo successivo è di chiedermi come si chiama mio padre. Non penso di aver citato il nome di mio padre tanto volte negli ultimi venti anni, neppure in occasione della sua morte. E poi mia madre. L'ordine è sempre quello: io, padre, madre, fratelli, moglie, figli. Gli chiedo i loro nomi e poi la loro età. Quella a me non la chiedono quasi mai, forse per discrezione. Mi dicono che hanno tutti e tre 14 anni. E' dalle 7 di stamattina che stanno accompagnando .il gregge del loro padre e ne avranno per almeno 3 o 4 ore. Mi domando se dicessi ai miei figli di andare con il gregge nel sole torrido in una valle sassosa e spoglia per 3 ore a pascolare il mio gregge cosa mi direbbero. E forse giustamente. Ma questi ragazzini non sembrano arrabbiati, stanchi, annoiati. Anzi, sorridono spesso con un sorriso ampio e disteso. E' una cosa che fa effetto notare l'allegria di questi bambini rispetto all'apatia dei nostri. Quante volte sentiamo dire dai nostri figli “non so cosa fare” pur avendo dei magazzini di giochi accatastati nelle loro stanze mentre questi bambini che vengono nel nostro cortile per farsi dare le bottiglie di plastica dell'acqua per andarci a giocare per strada sorridono sempre allegri, sempre pronti a fare una corsa o a chiamare un altro bambino. Sicuramente qui i piccoli sono messi peggio, le prendono da tutti e con poca finezza, ma gli adolescenti sono attivi, intraprendenti, scaltri, proprio quello che serve alle società occidentali per riuscire a sopravvivere.
Noto che quando le pecore si attardano su uno dei cespugli e concentrate a destreggiarsi tra le spine perdono il contatto col gregge, quando se ne accorgono prima di tutto si riuniscono al gregge e solo dopo ricominciano a mangiare. Quanto è rassicurante il gruppo di appartenenza, anche se accompagna al mattatoio.
Anche gli animali qui le prendono da tutti. Faranno anche una vita brada e sana, ma prendono botte da tutti per qualsiasi motivo. Mi viene da pensare alla mitologia dell'allevamento ruspante che sento fare da ecologisti nostrani. Potessimo intervistare una pecora palestinese e una pecora nostrana chiedendogli chi è più soddisfatta tra quella nostrana messa all'ingrasso in una vita insulsa o quella palestinese sfiancata da una vita dura chissà cosa verrebbe fuori. O forse basta fare la stessa domanda ai relativi proprietari.
Tornando a casa ci ferma la polizia. Ci chiede da dove veniamo e poi i passaporti. Ci chiedono se stiamo andando al villaggio. Scopro poi che Miki ha già incontrato lo stesso poliziotto nero in un precedente controllo proprio nel villaggio. Ci facciamo identificare senza fare tante storia. Quando gli chiedo se ci sono problemi mi dicono che è un controllo di routine. Chissà se mi daranno più il permesso per tornare in Palestina?
Nel pomeriggio arrivano Ale e Fede. Tornerò domani con loro dopo una giornata che si preannuncia molto movimentata.

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