Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

18/12/10

Ma di che nonviolenza parlano?

In questi giorni si sentono molte voci di persone che commentando le azioni degli studenti parlano di nonviolenza (o meglio di "non violenza") dando per buono che equivalga al semplice rifiuto di ogni forma e tipo di violenza. In quello che scrivono vedo spesso un problema ed è che loro fanno riferimento ad una delle accezioni di nonviolenza che, per altro, molti di quelli che parlano di nonviolenza pensano. Io e altri la pensiamo diversamente, chi più e chi meno, perché abbiamo visto agire la nonviolenza, ma in effetti ci sono un sacco di sedicenti "nonviolenti", che sono semplicemente persone di quelle che Gandhi odiava, quelli incapaci di azione, nonviolenti solo perché incapaci di agire la violenza.

Carlo Giuliani era andato a P.za Manin per vedere come i nonviolenti si opponevano alla violenza ma quando ha visto la loro inefficacia è andato a cercare una risposta dalle tute bianche, incontrando la morte. Se i nonviolenti presenti in quella piazza fossero stati più credibili, come quelli di Portello, forse non sarebbe successo.

Molti parlano della nonviolenza come probabilmente è stata loro presentata da persone, come giornalisti, intellettuali o politici, che ne parlano confondendola con l'inazione, persone che quando vedono un conflitto scappano lontano pensando "guarda che violenti", persone che pensano che impedire a qualcuno di accedere ad un posto sia già violenza e che perfino fare un digiuno sia una violenza ... verso se stessi.

Ci sono altre persone, anche con buona conoscenza della storia, che ricordano che Gandhi ha assunto posizioni razziste nella sua vita in Sudafrica o militariste prima dell'indipendenza, che Mandela era il capo dell'ala armata dell'ANC, ma forse dovrebbe anche considerare che se uno nella vita cambia idea probabilmente l'ultima sua idea è quella più vera, più approfondita (e dico questo anche pensando a personaggi come la Fallaci). E a volte confondono, avendo poca dimestichezza con i termini, arrivano ad affermare che Gandhi proponeva semplicemente di non resistere agli inglesi, quando invece non diceva agli indiani semplicemente di lasciarsi invadere, ma di resistere negando il consenso. E comunque ha sempre detto che preferiva chi si opponeva all'ingiustizia con la violenza che chi non vi si opponeva.

Io provo a suggerire due definizioni di nonviolenza che potrebbe lasciare perplessi i puristi, ed entrambe fanno riferimento al concetto di forza.
La prima è che la nonviolenza è la forza dell'intelligenza ma la seconda è che la nonviolenza è la forza applicata per RIDURRE il più possibile la violenza. E quando dico ridurre intendo che se riesco a fare diminuire la violenza anche senza eliminarla del tutto già sto agendo nonviolentemente.

Ci sono diversi approcci alla nonviolenza, diversi concetti di violenza e di forza. Una azione per alcuni è violenta e per altri è nonviolenta, per alcuni è solo uso della forza e per altri e violenza.
Io penso che sia necessario agire con la nonviolenza. Sarà anche vero che in alcune situazioni chi ha agito nonviolentemente è stato represso e a volte ci ha rimesso anche la vita, m
a il rischio di essere repressi lo corrono tutti, anche coloro che si organizzano per fare violenza.
Quanti sono i guerriglieri organizzati che sono stati uccisi e massacrati brutalmente senza far cambiare di una virgola la vita di quelli per cui si battevano? Sicuramente molti di più degli attivisti nonviolenti che hanno perso la vita, ma questo non mi soddisfa.
Restando anche solo in Palestina direi che il rapporto tra morti e salvati è decisamente a favore di chi ha usato la nonviolenza o anche la poca violenza delle pietre rispetto a quelli che hanno scelto le armi e le bombe
Tutte le guerre cominciano perché il primo a fare violenza pensa di riuscire a distruggere l'avversario prima che questo possa rispondere con la violenza. Ma in nessuna guerra ciò avviene.
Al contrario chi agisce con violenza viene più facilmente represso con violenza, non tanto perché il potere li teme di più, quanto perché sono le propaggini del potere, le sue mani operative, che li odiano di più rispetto a chi agisce nonviolentemente.
Probabilmente il potere teme di più chi agisce nonviolentemente perché dà meno giustificazioni per la repressione, mentre le sue propaggini preferiscono massacrare chi li ha appena insultati e gli ha tirato addosso una molotov che chi non li ha offesi o messo a repentaglio la loro incolumità, anche se non si limita ad una opposizione simbolica ma ingaggia una lotta reale e non eludibile.

Oltre alle grandi lotte nonviolente di Gandhi e Martin Luther King anche in Italia ci sono state lotte nonviolente come quelle dei siciliani con Danilo Dolci o, anche in tempi più recenti, la lotta contro la Mostra Navale Bellica a Genova e per altri versi la campagna per la chiusura delle centrali nucleari, entrambe quest'ultime degli anni 80, che penso siano paragonabile ad una delle campagne di MLK e sono totalmente italiane.
Io penso che le persone con qualche decina di anni di età è meglio se adesso mi dedicano a supportare i giovani che vogliono costruire il loro futuro, se ce ne sono. E nel mio piccolo continuo a fare formazione sull'Azione Diretta Nonviolenta .... come i benedettini che copiavano i testi dei filosofi greci per salvarli dalla barbarie.

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Il tempo per la galera

Mi chiedono se non si  potrebbe organizzare qualcosa, una iniziativa nonviolenta alternativa alle manifestazioni messe in atto a livello di movimento attuale.
Certo che si può fare.De Andrè diceva "il cuccioli del maggio era normale, loro avevano il tempo anche per la galera". Io e quelli come me possiamo anche essere presenti in piazza quando sarà necessario a supportare la lotta dei giovani, ma è giusto che siano i giovani a creare la loro lotta e noi "vecchietti" ad aiutarli, a consigliarli, anche a criticarli.

Io sono ben felice di andare a fare formazione se qualcuno me lo chiede, magari delle centinaia di giovani che ho formato attualmente impegnati nella lotta, e se serve posso anche cercare tra i miei impegni di trovare il momento, come ho già fatto in passato, per essere presente in piazza, ma penso che sia giusto farlo seguendo l'iniziativa dei giovani.

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Responsabilità

Sono sconcertato. Ho rivisto le immagini del ragazzo che durante gli scontri di piazza a Roma a tirato un colpo di casco ad un altro ragazzo mandandolo in prognosi riservata con un ematoma cerebrale. Nelle immagini si vede il ragazzo prendere la rincorsa e scaraventare il suo casco sulla tempia dell'altro ragazzo che cade a terra e vi rimane immobile. Questa scena ma ha fatto orrore vederla, ma c'è qualcosa che mi ha fatto ancora più orrore, quando ho capito il motivo per cui l'aggressione è avvenuta. Il ragazzo del casco nei fotogrammi precedenti ha cercato in tutte le maniere di evitare che i giovani della manifestazione scaricassero la loro rabbia sui blindati della polizia che gli bloccavano il passaggio escludendoli, come al solito, dallo scegliere nella vita. Il ragazzo con il casco più e più volte li respinge per evitare che la minifestazione, evidentemente la sua manifestazione, degenerasse in qualcosa che lui non voleva. Probabilmente ci aveva messo giorni e giorni con i suoi compagni a organizzare il tutto, assicurando, convincendo, invitando. Probabilmente in quella manifestazione ci aveva giocato tutta la sua credibilità, l'aveva sognata da giorni, e altri la stavano distruggendo, facendosi  prendere dalla rabbia. E quando è arrivato l'ultimo che con un gesto qualsiasi ha tirato qualcosa verso i blindati, non ha più retto e ha scatenato la sua rabbia repressa fino ad allora contro coloro che avevano distrutto lui e i lsuo lavoro. E' partito di corsa e gl ha tiratto una botta forte.
Magari mi sbaglio, le cose non stanno così, la sua storia è completamente diversa, il ragazzo con il casco era un fascista cche difendeva la polizia e che ha assalito un normale manifestante.
Ma se invece fosse come ho supposto, la cosa che mi fa più orrore è stato di essermi rivisto in lui, ritornando ai tempi del g8. Ho sentito forse la sua stessa rabbia a vedere devastare il lavoro fatto in tutti i mesi prima. Per mi fortuna allora non ho ceduto, ho preferito andarmene via vedendo l'incapacità di tutti gli altri di tenere conto della cosa come da settimane chiedevo. La mia rabbia era tanta che avrei piegato uno dei pali branditi dai ceffi neri sulla loro testa, ma anche grazie all'età, sono riuscito ad elaborarla e fare una scelta più saggia. Il ragazzo col casco invece no, non ce l'ha più fatta e si è scatenato contro l'ultimo arrivato a far esplodere il suo sogno.
Giustamente pagherà, dato che sarà facilmente riconosciuto, proprio perché la sua manifestazione non era quella dei devastatori, il suo volto non era coperto, lui era orgoglioso di essere lì a difendere le sue idee assieme ai suoi compagni e lo rivendicava come un suo diritto. Pagherà la sua rabbia, la sua irruenza, la sua stupidaggine, ma io sentirò una stretta al cuore avendo provato la sua rabbia, il suo senso di tradimento.
Gli altri invece no, non si assumeranno la responsabilità dei loro atti, né i poliziotti che si accanivano su persone a terra né chi ha violentato la manifestazione, sia esso infiltrato o parassita.
Che tristezza.

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